Marzo (Teseo): ripensare la previdenza, fra consulente e prodotto
Pubblicato da Teseo in Formazione · Venerdì 18 Apr 2025 · 5:15
Tags: previdenza, consulenza, prodotti
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MASSIMILIANO MARZO
Docente di Teseo, ente di ricerca e formazione specializzato nel settore finanziario.
Istituzionalizzare prodotti goal-based per bisogni previdenziali specifici è una strada da seguire, secondo il professor Marzo
L’invecchiamento della popolazione è una sfida per il welfare pubblico, ma anche per la pianificazione finanziaria individuale. Le due dimensioni si intrecciano quando si cercano soluzioni capaci di garantire benessere futuro alle generazioni che oggi si affacciano al mondo del lavoro. Per Massimiliano Marzo, professore di Economia degli Intermediari Finanziari e coordinatore del corso di laurea in Economia e Management all’Università di Bologna, servono più servizi previdenziali accessibili attraverso la consulenza finanziaria e riforme fiscali ambiziose per ripensare in profondità la previdenza complementare.
Di longevity si parla spesso. L’industria la sta affrontando veramente? E se sì, con le leve giuste, con i metodi giusti? O c’è ancora qualcosa da limare?
Sicuramente l’industria ha una grande consapevolezza del tema, questo è fuori discussione, tanto che la longevità è uno dei temi centrali del Salone del risparmio di quest’anno. Ma la vera domanda è se oggi esistano strumenti adeguati per affrontarla. Su questo, forse, qualcosa da limare c’è. Se ci confrontiamo con altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti, lì esistono strumenti di risparmio ad hoc per far fronte ai rischi legati alla longevità: penso, ad esempio, ai piani sanitari, che non sono semplici assicurazioni, ma veri e propri veicoli di investimento con forti vantaggi fiscali.
Si tratta di somme accantonate per uno scopo specifico, quindi ritirabili solo per esigenze sanitarie?
Esattamente. Il loro utilizzo deve essere comprovato. Il denaro non arriva mai nelle mani del risparmiatore: va direttamente dall’assicurazione al professionista sanitario, alla struttura di cura o all’ospedale. È un meccanismo efficiente, e si potrebbero immaginare altri strumenti finanziari simili, legati a esigenze specifiche.
C’è poi il tema dell’accesso al risparmio. Come si può iniziare per tempo ad accumulare le somme necessarie per far fronte alla longevità?
Questo è un punto fondamentale. Costruire un capitale importante richiede tempo, pazienza e disciplina: bisogna cominciare da giovani. Ma ancora oggi vedo poche iniziative rivolte ai giovani per incentivare l’accumulo, anche di piccole somme. Un euro al giorno, risparmiato dai trent’anni, può diventare rilevante a 65 o 70 anni. Anche in presenza di bassi salari, queste piccole cifre, se ben convogliate, fanno la differenza.
Tornando al regolatore: si è fatto qualcosa per la previdenza integrativa? Cosa andrebbe migliorato?
La previdenza integrativa è uno dei pilastri per affrontare la longevità. Senza di essa, sarà difficile mantenere i livelli di vita in futuro. Ma le persone hanno scarsa consapevolezza del tema e gli incentivi sono deboli: c’è una deducibilità fiscale, sì, ma parziale, e dipendente dall’aliquota marginale. Andrebbe prevista un’area di piena esenzione fiscale per il risparmio previdenziale destinato alla longevità.
Un problema, però, è che il beneficio fiscale è oggi più vantaggioso per le fasce benestanti.
Concordo pienamente. La fiscalità, da professore universitario, la considero una delle più grandi distorsioni del sistema economico. Uno Stato serio dovrebbe massimizzare il gettito minimizzando le distorsioni. Oggi tutto è tracciato: paghiamo con il telefono, con l’orologio. Non sarebbe difficile migrare verso una tassazione indiretta, che sarebbe più equa e anche più efficace nel sostenere chi ha redditi bassi. Bisognerebbe riformare il modo in cui si raccolgono le imposte. In Nord Europa, la pressione fiscale è alta, ma le distorsioni sono molto inferiori. Da noi si perde gettito lungo la catena, e questo rende il sistema inefficiente.
Quindi tassazione indiretta come mantra della riforma fiscale?
Esatto. Guardi a Germania, Francia, Stati Uniti: lì le dichiarazioni dei redditi sono solo conguagli, perché le imposte sono già state versate durante l’anno. È un sistema efficiente, difficile da eludere. In Italia non ci siamo ancora arrivati, e non capisco il perché, anche se nei documenti della riforma fiscale se ne parla.
Stante il quadro attuale, cosa possono fare oggi i consulenti per migliorare la pianificazione dei clienti?
Le reti devono semplificare l’accesso agli investimenti per chi ha bassa capacità di risparmio. Oggi un cliente con pochi capitali è meno “interessante” per il sistema. Ma grazie alla tecnologia, si possono creare strumenti che permettano anche a questi clienti di investire. Il consulente resta comunque un punto di riferimento: serve un contatto umano, anche se si investe tramite app. L’AI consente soluzioni tecniche ed efficienti, ma non sostituisce la visione complessiva che solo un consulente può offrire. Il valore del consulente, paradossalmente, crescerà: sarà meno tecnico e più strategico.
C’è però anche un dibattito sull’opportunismo nell’uso dei fondi pensione. Spesso si accumula, si arriva al traguardo e si ritira tutto, senza rendita vitalizia. Come si affronta?
Prima di tutto, la fiscalità dovrebbe essere omogenea tra strumenti finanziari. Oggi ci sono arbitraggi fiscali che falsano le scelte di investimento: si investe non in base al rischio-rendimento, ma al vantaggio fiscale. Questo va eliminato, ad eccezione del vantaggio per i titoli di Stato, per favorire il collocamento del debito pubblico. Sulle tipologie di rendita serve libertà di scelta e innovazione nei prodotti previdenziali: flessibilità, soluzioni miste, strumenti adatti a esigenze diverse.
È un appello ai produttori di soluzioni previdenziali?
Assolutamente sì. Servono prodotti dedicati per bisogni specifici legati alla longevità: sanità, assistenza, spese quotidiane. Ci sono già esempi di strutture residenziali per persone anziane in salute, ma sole, che vivono in miniappartamenti in contesti condivisi e di qualità. Ma servono risorse dedicate per poter accedere a tutto questo. Penso a una sorta di goal-based investing istituzionalizzato: sarebbe perfettamente fattibile. Per il momento il legislatore non ci pensa. Capisco che le urgenze siano tante, ma qui è il regolatore che dovrebbe giocare un ruolo chiave: non solo come controllore, ma anche come promotore di soluzioni e innovazioni. Invece, su questi temi, il regolatore appare latitante.